Molti prodotti “gluten free”, ma pochi celiaci

Molti prodotti “gluten free”, ma pochi celiaci

11 Settembre 2019 Curiosità 0

Fonte: Business Insider Italia – https://it.businessinsider.com/e-boom-di-prodotti-gluten-free-ma-i-ciliaci-sono-relativamente-pochi-e-chi-elimina-il-glutine-senza-necessita-rischia-ecco-perche/

La celiachia è una malattia che porta a una infiammazione cronica dell’intestino tenue scatenata dall’ingestione di glutine e che si manifesta con diarrea cronica, dolore addominale, gonfiore addominale, astenia  e ritardo della crescita nei bambini. Ed è genetica. Ma se non siete persone con confermata diagnosi, mangiare farine senza glutine non porta nessun beneficio. Sono i risultati del primo studio scientifico condotto da una equipe dell’Università di Sheffield, Inghilterra.

In Italia solo circa 200 mila persone sono celiache. Le diagnosi aumentano ogni anno in modo esponenziale: nel solo 2016 c’è stato un incremento del 32%. E le stime sostengono che in realtà il numero possa arrivare a 600 mila, anche se purtroppo non tutti vengono diagnosticati correttamente. I prodotti senza glutine vengono però acquistati in Italia da numeri ben più alti: sei milioni di persone. E si spendono 105 milioni di euro in prodotti specifici senza essere malati. In pratica per ogni italiano che soffre di celiachia certificata ce ne sono 30 che consumano alimenti privi di glutine pur senza averne bisogno. Ma mentre la celiachia è una malattia che attacca il sistema immunitario e in particolare l’intestino tenue, per la quale non esiste cura se non l’eliminazione del glutine dalla dieta,  il motivo per cui questi alimenti hanno così successo potrebbe essere dovuto al fatto che molte persone ritengono di avere una sensibilità non celiaca, perché hanno sviluppato una intolleranza ad alcune proteine del grano, tra cui gli inibitori della tripsina. Questo disturbo, che ancora non ha passato il vaglio del mondo scientifico, potrebbe essere in realtà un problema sovrastimato. Di patologie certe, oltre alla celiachia, c’è solo l’allergia al grano.

In ogni caso i ricercatori inglesi hanno dimostrato che gli acquisti generici, fatti da chi non ha problemi specifici, non hanno alcun senso. Per misurare gli effetti della dieta i volontari che sono stati sottoposti al test hanno dovuto compilare questionari che misuravano il dolore addominale, il reflusso, l’indigestione, la costipazione o la diarrea, e lo stato di fatica. Alla fine dell’analisi però non sono risultate differenze tra chi aveva assunto glutine e chi no. Nessuno aveva provato neppure alcun dolore addominale. Quindi non mangiarlo non fornisce nessun beneficio.

Uno studio pubblicato su Science l’anno scorso e intitolato “La guerra al glutine“, rivela che la tendenza a comperare prodotti senza glutine è una moda recente. Non essendoci marcatori biologici specifici che attestano la sensibilità, ci si può riferire solo ai sintomi riportati dai pazienti. E alcuni ricercatori hanno sospettato si tratti di una questione psicosomatica.

Per indagare sul problema Armin Alaedini, un immunologo della Columbia University, si è fatto spedire 80 campioni di sangue di persone sensibili dall’Università di Bologna. Voleva vedere se c’erano segni di risposte immunitarie. In effetti erano presenti degli anticorpi che rivelavano una risposta specifica ma veloce. Il che significava che i soggetti non erano necessariamente allergici ma che il loro intestino non funzionava correttamente e permetteva al glutine di uscire e interagire con le cellule immunitarie del sangue. Qualcosa contenuto nel grano evidentemente rende la membrana intestinale più permeabile, ma c’è una interazione con la flora intestinale, e potrebbero essere i batteri la causa del problema.

Knut Lundin, un gastroenterologo dell’Università di Oslo, ha provato dunque a vedere se i sintomi potessero dipendere da una reazione più comune legata ai Fodmap, ovvero i fermentabili oligo-di- e mono-saccaridi e polioli, componenti presenti in molti cibi, da cipolle e aglio, ai legumi, al latte e yogurt, a frutta come mele, ciliege e mango. I carboidrati del grano, chiamati fruttani, corrispondono a circa la metà della dose giornaliera di questo tipo di cibi, che fermentano nell’intestino e causano sintomi come dolore addominale e gas. I risultati hanno confermato l’ipotesi.

In realtà stando alle stime più corrette la sensibilità al glutine riguarda comunque un numero esiguo di persone: il Glutox, uno studio promosso dalla Associazione italiana gastroenterologi ospedalieri stima che la sensibilità al glutine potrebbe interessare tra il 5 e il 10% della popolazione.

Le cifre di vendita dei prodotti specifici però non sono collegabili solo a problemi di salute. Il fatto è che a un certo punto si sono diffuse informazioni che hanno fatto credere che i prodotti senza glutine fossero più salutari. Una ricerca americana ha rilevato che negli Usa il 44% dei consumatori comperano prodotti gluten free e il 65% li ritiene più salutari. Questa tendenza ha risultati economici precisi: l’industria senza glutine a livello mondiale è passata da un valore di 1,7 miliardi di dollari nel 2011 a 3,5 miliardi nel 2016. E si prevede raggiungerà i 4,7 miliardi nel 2020.

Si è creduto servissero a perdere peso e a permettere migliori prestazioni sportive. Qualcuno ritiene migliorino anche le funzioni cognitive, oltre all’aspetto.

Eliminare del tutto i carboidrati contenenti glutine, se si è sani, non è però una buona idea. Una dieta senza glutine può comportare una riduzione di proteine, fibre, folati, niacina, vitamina B12, riboflavina, calcio, ferro. E uno studio delle Università di Madrid e Barcellona sottolinea il rischio di sviluppare il diabete.

Una dieta prova di glutine, oltre a essere  più povera in fibre e minerali, è più ricca in grassi saturi, sodio e calorie. Poi ci sono le caratteristiche dei prodotti che vengono venduti: i dolci per celiaci sono spesso più ricchi in calorie, zuccheri, sodio e grassi per compensare la mancanza della proteina e migliorarne sapore e consistenza. E il riso, spesso usato al posto della pasta, ha un indice glicemico superiore .

In pratica se non si ha una diagnosi conclamata, è meglio evitare di cambiare drasticamente dieta.

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